Lo specchio della Magistratura nella Giustizia delle Carceri

Lo specchio della Magistratura nella Giustizia delle Carceri

A che numero siamo arrivati di detenuti fuori le carceri non è cosa lecita da rendere noto al cittadino in totale trasparenza. Ma è sicuramente legittimo ascoltare le parole del Magistrato Di Matteo che ancora una volta rimarca l’errore compiuto dalle parti coinvolte: Ministero della Giustizia e Magistratura, avere creato una voragine di sfiducia tra Stato e Mafia, attraverso le scarcerazioni di detenuti ritenuti pericolosi alla collettività e collusi alle mafie. Approfittando della debolezza volontaria e consapevole, gli stessa signori che occupano le carceri con il 41 bis, protagonisti indiscussi delle stragi che hanno coinvolto i processi Stato- Mafia, hanno ben pensato di dare un chiaro messaggio allo Stato attraverso le rivolte delle carceri.

Quindi come spiega legittimamente il magistrato Di Matteo in trasmissione a Non è l’arena

in data 27 Settembre 2020

Un mafioso anche al 41 bis si industria sempre per fare arrivare direttive fuori dal carcere

Il segnale di “resa dello stato”, è nei fatti, perchè quei provvedimenti seguono di poco delle rivolte organizzate in varie strutture penitenziarie in tutta Italia, e da quello che si evince in vari articoli di stampa, quelle rivolte siano state concepite e organizzate da cosa nostra e dalle altre organizzazioni mafiose.

Alle rivolte conseguono le scarcerazioni, quantomeno a livello di segnale è veramente un segnale devastante, evoca una resa, una rendevolezza.

Nel nostro paese è già difficile evocare una trattativa tra lo Stato e la mafia che, intervenne ed è stata consacrata in una sentenza della Corte di Assise di Palermo del 2018, intervenne proprio negli anni delle stragi.

Chi conosce il modo di agire di cosa nostra di ieri e di oggi, sa che la questione carceraria è centrale e sulla questione carceraria si gioca una partita importante fondamentale del contrasto della criminalità organizzata ai vertici della criminalità organizzata

3 Settembre 2020 – Dichiarazioni del Ministro della Giustizia Bonafede

Il guarda sigilli per risanare l’errore del suo Ministero e di certa Magistratura, attua due decreti che cercano di salvare la situazione “libera tutti”, rimarcando il concetto di autonomia tra il potere.

Un articolo di stampa riprende oggi il tema delle scarcerazioni legate all’emergenza Covid. Per evitare che si faccia (volutamente) confusione tra le competenze e responsabilità istituzionali sancite dalla Costituzione, chiarisco quanto segue.

Dopo le note scarcerazioni, decise dalla magistratura in piena autonomia e indipendenza nel bel mezzo della pandemia, su mia iniziativa il governo ha approvato due decreti, che hanno imposto di rivalutare, con il parere obbligatorio delle direzioni distrettuali antimafia, la posizione di TUTTI i detenuti per reati gravi posti ai domiciliari.

Sono decreti che hanno modificato leggi in vigore da almeno cinquanta anni e che nessuno aveva mai cambiato.

In base a quanto previsto, i detenuti (posti ai domiciliari, ci tengo a ribadirlo, in forza di un provvedimento giudiziario) sono dunque tornati davanti ad un giudice, che ha preso le sue decisioni, ovviamente in assoluta autonomia.

Come per tutti i provvedimenti in materia di giustizia, ho già avviato uno stretto monitoraggio per verificare l’applicazione dei due decreti antimafia.

https://www.facebook.com/Alfonso.Bonafede.M5S/posts/3600866056590841

In Italia la Costituzione prevede il principio di separazione di poteri:

  • Legislativo: Parlamento;
  • Esecutivo:  Governo – Ministeri-  Ministero della giustizia;
  • Giudiziario: Magistratura –  Consiglio superiore della magistratura

(E’ scontato che la menzione ai poteri, è la sintesi dei soggetti coinvolti dal punto di vista di persone giuridiche, rispetto il caso di cui sto parlando)

Sono poteri che tra loro non si possono incrociare, non possono intervenire nelle decisioni, ma possono coordinarsi. In casi di necessità, esempio come questo, il potere legislativo si incontra con il potere esecutivo tramite i decreti legge, legiferando. 

In questa vicenda i protagonisti sono: Il Ministro della giustizia che fà parte del potere esecutivo; il Consiglio superiore della magistratura, i magistrati che fanno parte al potere giudiziario.

La scarcerazione dei boss, è decisione autonoma del potere giudiziario, in cui è presente il Consiglio superiore della magistratura. Esso non può essere né imposto, né sottoposto al potere esecutivo, che ha il compito, attraverso il Ministero della giustizia di coordinare l’uscita dalle carceri. Solo in caso di necessità urgente il Ministro della giustizia può intervenire!

Il Ministero di giustizia è composto da quattro dipartimenti, uno dei quali ha il nome di DAP, dipartimento di polizia penitenziaria. Esso è suddiviso in Direzioni generali, per il caso specifico la tutela è posta alla Direzione generale del trattamento dei detenuti, con il compito della assegnazione e trasferimento dei detenuti. Particolare attenzione è posta ai detenuti che scontano il carcere con l’articolo 41 Bis, il massimo carcere rigoroso che un detenuto può avere. Il 41 Bis è stato fortemente voluto dal magistrato Falcone per evitare che i mafiosi avessero contatti o potessero inviare messaggi all’esterno e inquinare i processi, come successe in diversi casi.  

Dopo le stragi di Capaci: 23 maggio 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la scorta; la strage di Via d’Amelio, il 19 luglio 1992 in cui venne ucciso Paolo Borsellino insieme alla scorta; il 41-bis si inasprì ancora di più grazie al decreto antimafia – legge 8 giugno 1992, n. 306 voluto fortemente dall’allora Ministro della giustizia Claudio Martelli e il Ministro degli interni Vincenzo Scotti. Il decreto fù convertito in legge il 7 agosto 1992, n. 356. Il 41 Bis. Da questo momento i detenuti non possono avere alcun contatto con l’esterno, qualora lo avessero sono strettamente controllati, posti a distanza in modo che gli agenti di polizia penitenziaria possano controllare, debitamente registrati da telecamere di controllo. Non hanno contatti con altri detenuti, l’ora d’aria è breve e sola, in cella sono da soli.

Quindi perchè scarcerare chi è nelle condizioni di rimettere in moto una macchina infernale costata la vita ai servitori dello Stato?
Perchè rendersi complici e inquinare nel futuro processi che seguiranno, come quello iniziato dal magistrato Gratteri?

Costituzione Italiana

Articolo 92

Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.

Sarebbe ora di dare potere al popolo e cambiare le retovie di una costituzione fatta per il popolo ma gestite da forze autiritarie al sistema.

Articolo 101

La giustizia è amministrata in nome del popolo.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge.


E’ sovente per certa politica prendere decisioni autonomamente senza alcun rispetto del cittadino.

Vi elenco le due vicende a specchio del Magistrato Gratteri e Di Matteo. L’unica differenza che troverete è nella nomina, ma la modalità di rifiuto è la stessa!

Il magistrato Nicola Gratteri e la mancata nomina di Ministro della Giustizia

2014 Governo Renzi – Secondo governo della XVII legislatura –

Ho incontrato per la prima volta Renzi la sera prima che incontrasse Napolitano me lo presentò Delrio, che conoscevo da quando era sindaco di Reggio Emilia. Abbiamo parlato per due ore e mezza di giustizia, mi ha chiesto tante cose, poi mi ha lanciato la proposta: “Lei deve fare il ministro della Giustizia”. Io ho detto che no, non ho il carattere per farlo: sono un decisionista, sono abituato a sedermi e non alzarmi finché non si prende una decisione. Lui però ha insistito: “Le do carta bianca, mi siedo a fianco a lei in Parlamento e tutto ciò che lei propone, deve passare”. Io avevo in testa la rivoluzione dei codici. Gli ho detto di sì.

Vado a dormire, la mattina dopo torno in Calabria a lavorare: mi chiama Delrio e mi dice: “Lei è nell’elenco dei 16 ministri, non è che si tira indietro?”. Rispondo che io sono un uomo di parola. Nel pomeriggio l’incontro Renzi-Napolitano e la lista definitiva dei ministri: ma nasce qualche problema.

Vi ricordate che la porta non si apriva? Quando ho visto quella scena ho pensato che stessero litigando per me, e infatti era così.

Poco dopo mi chiama Delrio, tutto  dispiaciuto e mortificato, io invece ho fatto un sospiro di sollievo.

Chi mi vuole bene mi dice che devo accendere due candele a Napolitano ogni mattina.

Il magistrato Di Matteo dichiara:

18 giugno 2018

Bonafede mi chiamò al telefono. Mi pose un’alternativa: andare a dirigere il Dap oppure prendere il posto di capo degli Affari penali. Aggiunse che dovevo decidere subito perché mercoledì ci sarebbe stato l’ultimo plenum utile del Csm per presentare la richiesta di fuori ruolo. Richiesta che era urgente per il Dap, ma non lo era per la direzione degli Affari penali. Gli dissi che sarei stato a Roma il giorno dopo e mi sarei recato da lui al ministero. Bonafede chiuse il telefono dicendomi – scelga lei –  

Il giorno seguente, mi sedetti davanti a Bonafede e gli dissi che accettavo il posto di capo del Dap. Lui però, a quel punto, replicò che aveva già scelto Basentini, mi chiese se lo conoscessi e lo apprezzassi. Risposi di no, che non lo avevo mai incontrato. Bonafede insistette sugli Affari penali, parlò di moral suasion con la collega Donati perché accettasse un trasferimento. Non dissi subito no, ma manifestai perplessità. Siamo a giugno, disse Bonafede, lei mi manda il curriculum, a settembre sblocchiamo la situazione.

Il giorno tornai dal Ministro Bonafede e gli comunicai che a queste condizioni non era più disponibile. Gli dissi di non tenermi più presente per alcun incarico, lui ribatte che per gli Affari penali non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga. Una frase che, se riferita al Dap, mi fece pensare.

Di Matteo racconta ancora che dopo le elezioni alcuni giornali scrissero che c’era un’ipotesi di una mia nomina al Dap.

Mi chiamarono da Roma dei colleghi per dirmi che c’era una cosa molto brutta che mi riguardava. In più penitenziari, per esempio all’Aquila, boss di rango avevano gridato: dobbiamo metterci a rapporto col magistrato di sorveglianza per protestare contro questa eventualità. Subito dopo 52 o 57 detenuti al 41 bis, avevano chiesto di conferire. A quel punto era stata fatta un’informativa diretta a più uffici di procura e al Dap. Il ministro fù informato. Pensai allora, e ho sempre pensato, di essere stato trattato in modo non consono per la mia dignità professionale.

Del comportamento di Bonafede mi turbò il fatto che dal ministro arrivò prima una proposta, poi un’altra.

Da allora mi sono sempre chiesto cos’era accaduto nel frattempo. Se, e da dove, fosse giunta un’indicazione negativa, magari uno stop degli alleati o da altri, questo io non posso saperlo. 

Perchè il popolo non è stato informato di ciò che accadeva e posto in condizione di scegliere in ambedue i casi? Perchè lo Stato si rende autonomo e parte Autorevole davanti la sovranità del popolo nelle scelte che devono condurre il paese?

Lo specchio della Magistratura nella Giustizia delle Carceri
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